«Nel piatto, dall’antipasto alla frutta, c’è stata solitudine… Quando ho sentito questa frase di una donna che scriveva poesie, madre di una figlia unica con grave autismo, ho provato tormento. Mi ero sempre occupata di disabilità all’estero come suora guanelliana, fino a che non ho incontrato alcune famiglie che mi hanno fatto presente la necessità di ricevere aiuti per i loro figli con disabilità anche in Italia». Lo racconta suor Michela Carrozzino, superiora della Casa Santa Maria della provvidenza dell’Opera femminile Don Guanella a Roma, direttrice del Comitato scientifico dell’associazione Oasi Federico, oltre che presidente dell’associazione Mediterraneo senza handicap. Suor Michela ricorda bene la genesi di Oasi Federico perché proprio lei ha contribuito alla fondazione di questa onlus nel 1999. Il nome si deve al piccolo Federico, un bimbo morto a 4 anni, dopo aver combattuto con una malattia sconosciuta. I suoi genitori, dopo il dolore della perdita, hanno deciso di investire economicamente per promuovere servizi per le persone con disabilità nel territorio dell’alto Tirreno. «Quando mi hanno chiesto di far nascere un’associazione, in concomitanza con la volontà dei genitori di Federico di far ricordare il nome del loro bambino, non mi sono tirata indietro», spiega la religiosa: «Questa terra vicina alla costa è bellissima, vi crescono alberi di cedri e l’acqua del mare è cristallina. Ha una bellezza naturale, che quasi richiama la bellezza spirituale e delle opere. Eppure, è un territorio sfornito di servizi per le persone con disabilità».

Così nel 1999 a Belvedere Marittimo, in provincia di Cosenza, è nata Oasi Federico e nel 2000 ha iniziato a funzionare il “Centro per tutti” che nel 2007 è stato dedicato a Benedetto XVI . Si tratta di un centro diurno per ragazzi e ragazze dai 18 anni in su, aperto dalla mattina al pomeriggio, «per dare un po’ di sollievo alle famiglie che hanno persone con disabilità». L’idea di intitolarlo a Papa Ratzinger e la scelta di scrivergli una lettera in quell’occasione fu di suor Michela, insieme all’allora vescovo di San Marco Argentano-Scalea, Domenico Crusco. «Nel 1903, quando don Guanella aprì la prima casa, chiese a Papa Pio X di immortalare il suo nome con quello dei suoi “buoni figli”. Don Guanella — ricorda la superiora — chiamava così le persone con disabilità perché diceva che loro non perdono mai l’innocenza battesimale, la conservano, non sono in grado di fare del male. Quindi nessuno esprime la bontà come la esprimono loro. Così, ricordandomi di questo episodio importante per la mia congregazione, ho scritto al Papa, che ha accolto questo nome».

Oggi la struttura continua a chiamarsi “Centro per tutti Benedetto XVI ”, a indicare la disponibilità ad accogliere ogni persona, senza discriminazione alcuna: «Vent’anni fa non c’era questa inclusione a prescindere da ogni limite e fragilità: per questo abbiamo scelto il nome “per tutti”, per dire che questo centro non ha pregiudizi contro nessuno, che tutti possono accedere senza alcun giudizio». Accomunati dalla stessa necessità di trovare sollievo dalle fatiche dell’accudimento e dalla solitudine, molti genitori sono stati incoraggiati a usufruire del servizio che offre il centro. Ancora oggi, purtroppo, esiste lo stigma di avere figli con patologie, riferisce suor Michela: «Non tutti i genitori riescono ancora ad accettare la condizione di disabilità dei propri figli per la sofferenza grande che hanno dentro. Ho conosciuto una mamma che, pur di non far registrare il nome del figlio tra le persone con disabilità, alle quali assegnavano un sussidio di sostegno, ha rinunciato al sussidio. Questi genitori vanno accompagnati e sostenuti».

Oltre al centro diurno per ragazzi con disabilità, la onlus Oasi Federico offre altri servizi, tra cui uno a Scalea dedicato a bambini con autismo, con i quali si interviene a livello educativo e comportamentale. «Abbiamo anche avuto un servizio per ospitare ragazze madri», prosegue la guanelliana: «Abbiamo salvato molti bambini in quegli anni ma poi siamo stati costretti a chiudere perché non era più possibile sostenerlo economicamente».

Suor Michela conserva nel cuore tutte le storie delle persone che ha incontrato nel corso del suo servizio come guanelliana, in tante nazioni del mondo e ora in Italia. Eppure, quando era più giovane, «non aveva mai pensato di farsi suora», confessa, fino a quando non ha incrociato sul suo cammino la figura di don Guanella, «un prete “montanaro”, che ha avuto l’ardire a fine Ottocento di capire che le persone rinchiuse nel manicomio di Como non erano “pazze” e ha scelto di creare strutture adatte per loro. Io — afferma — voglio “aiutare” Luigi Guanella a fare in modo che le persone stiano nel posto giusto».

In questo servizio Michela Carrozzino incarna il ruolo della Chiesa come “ospedale da campo”, pronta a soccorrere secondo necessità. E il risultato di questa attenzione per gli ultimi è proprio Oasi Federico, sorta in Calabria in una realtà priva di strutture simili, tra famiglie che dovevano spendere una fortuna per portare i propri figli a curarsi o a incontrarsi in città lontane da casa. L’ascolto di questo grido di aiuto e l’offerta di un «appoggio per fare in modo che le persone non si disperino» è il risultato di una Chiesa «dallo sguardo materno e fraterno» che cerca di dare risposte alle sofferenze della gente.

di BEATRICE GUARRERA

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